“Kintsugi” di Francesca Follini

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Com’è possibile dare spiegazioni convincenti di qualcosa che non vediamo? Qualcosa che, in senso propriamente tangibile, non esiste?
La pienezza della nostra fisicità ci rende insopportabile l’Invisibile, tant’è che da tempo immemore lo affrontiamo riempiendolo di Narrazioni, più o meno auliche e strutturate, pacificanti, ma anche strettamente personali, privatamente rielaborate per renderle accettabili. Credo che nulla più di un lutto ci sbatta violentemente contro i confini dell’Invisibile e metta a durissima prova le nostre Narrazioni. È impossibile non uscirne incrinati, se non propriamente a pezzi. E rimettere insieme i frammenti può diventare complicato, oltre che doloroso.
Kintsugi (金継ぎ) in giapponese significa letteralmente oro (“kin”) e riunire, riparare (“tsugi”). È quella pratica per cui si riparano gli oggetti rotti con resine dorate, valorizzandone le spaccature ricongiunte che, lungi dall’essere considerate un difetto da nascondere, diventano invece uno scintillante valore aggiunto, da esibire con fierezza.
Nei miei vagabondaggi interiori alla ricerca di Senso l’ho sempre trovata una metafora meravigliosa. Ne porto un riflesso in questa storia breve, molto intima e personale, in cui di oro ne è stato versato parecchio.
L’Autrice

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